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Oneri condominiali: il conduttore deve pagare, il locatore deve provare

La sentenza in commento offre l’occasione per trarre alcuni spunti utili per la difesa del locatore, quando, al termine del contratto, costui debba affrontare la morosità del conduttore e i danni che costui abbia arrecato.

Oneri condominiali: il conduttore deve pagare, il locatore deve provare. 

La vicenda

La locatrice di un appartamento cita in giudizio la conduttrice allo scopo di sentir condannare quest’ultima a:

  • il pagamento dei canoni di locazione scaduti sino al giorno del rilascio (avvenuto tre anni prima dell’avvio dell’odierno giudizio), da calcolare secondo il canone pattuito in contratto sino ad una certa data e poi, a partire da quella data, secondo il canone maggiorato fissato in scrittura privata tra le stesse due;
  • il pagamento degli oneri condominiali relative alle due annualità di contratto – infatti, il contratto, stipulato nel 2015, era cessato, con la restituzione dell’immobile da parte della conduttrice il 20 febbraio 2017;
  • il risarcimento del danno cagionato dall’appartamento locato a quello sottostante a causa di infiltrazioni d’acqua, pari ad €. 500,00.

La conduttrice rimane contumace.

Il Tribunale di Pavia, con la sentenza n. 849 del 15 dicembre 2021accoglie solo parzialmente la domanda della locatrice. Vediamo perché.

Il canone è quello previsto dal contratto scritto e registrato

Rammentiamo al nostro lettore che, in virtù delle varie normative succedutesi a partire dal 1998, la giurisprudenza, di legittimità e di merito, considera valido il contratto di locazione che:

  • sia scritto, per le locazioni ad uso abitativo stipulate dal 30 dicembre 1998 in poi (entrata in vigore della Legge 09 dicembre 1998, n. 431, posto che il suo art. 13 ha previsto tale obbligo) e per quelle ultranovennali;
  • sia registrato (cioè, sia stato sottoposto alla procedura prevista presso l’Agenzia delle Entrate competente e nei termini di legge) per tutte le locazioni stipulate dal 10 gennaio 2005 (entrata in vigore del comma 346 della Legge 30 dicembre 2004, n. 311, che ha previsto tale obbligo).

Attenzione, perché il contratto, già prima della registrazione, deve essere valido sotto ogni profilo: quindi, se stipulo un contratto verbale e poi lo registro, esso è comunque nullo perché non è scritto.

Altro elemento da chiarire: la registrazione ‘che conta’, ai fini della validità o meno del contratto, è la prima, cioè quella iniziale che le parti sono tenute a fare subito dopo la stipula (30 giorni di tempo secondo l’art. 13 L. 431/98 e sono perentori), mentre poco importano quelle successive, la cui mancanza viene sanzionata fiscalmente, ma non in via civilistica con la nullità radicale del contratto.

Ancora, la registrazione tardiva del contratto, cioè dopo il termine perentorio, sana lo stesso con efficacia ex tunc, cioè convalidandolo sin dalla data della stipulasalvi unicamente gli effetti della sentenza, passata in giudicato, che ne abbia dichiarato la nullità.

Questa è stata questione molto dibattuta, con diversi giudici di merito che hanno dichiarato la nullità di contratti registrati tardivamente ed alla quale le Sezioni Unite hanno posto fine.

Questi gli approdi dopo la pronuncia a Sezioni Unite del 2017 (sent. n. 23601/2017), la quale ha altresì chiarito che l’obbligo di registrazione decorre dal 10 gennaio 2005 e non si applica retroattivamente, salvando così i contratti scritti, ma non registrati, stipulati tra il 30 dicembre 1998 ed il 10 gennaio 2005.

Comprenderà allora il lettore come la presenza di un contratto scritto e registrato sia il primo elemento che il magistrato cui ci rivolgiamo andrà a verificare; in assenza di uno dei due requisiti, la domanda potrebbe non essere accolta ed il contratto potrebbe essere dichiarato nullo.

Nel caso di specie, la locatrice aveva prodotto un contratto scritto e registrato, pertanto il Giudice procede ad accordarle i canoni di locazione quivi previsti.

Viene invece rigettata la domanda relativa al canone ‘maggiorato’ derivante dalla scrittura privata separata stipulata tra locatrice e conduttrice.

Infatti, il Giudice pavese fa applicazione dell’ormai nota pronuncia a Sezioni Unite n. 18213 del 17 settembre 2015, laddove si stabilì che «In tema di locazione immobiliare ad uso abitativo, la nullità prevista dall’art. 13, comma 1, della Legge n. 431 del 1998 sanziona esclusivamente il patto occulto di maggiorazione del canone, oggetto di un procedimento simulatorio, mentre resta valido il contratto registrato e resta dovuto il canone apparenteil patto occulto, in quanto nullo, non è sanato dalla registrazione tardiva, fatto extranegoziale inidoneo ad influire sulla validità civilistica».

Quindi si deve ritenere che il patto ‘collaterale’ al contratto di locazione registrato, il quale patto preveda un canone maggiore di quello indicato nel contratto registrato, sia nullo, anche qualora venga registrato dalle parti.

Su questo dobbiamo essere chiari, in quanto un passaggio della pronuncia del Tribunale di Pavia potrebbe trarre in inganno, laddove si afferma che la scrittura prodotta dalla locatrice «non risulta datata né tanto meno registrata»; sia chiaro al lettore che, in virtù dell’arresto delle Sezioni Unite, nemmeno se tale scrittura fosse stata datata e registrata, il Giudice avrebbe potuto concedere il canone maggiorato, stante la nullità di detta pattuizione ai sensi dell’art. 13, 1° comma, Legge 431/98.

Gli oneri condominiali

La domanda relativa agli oneri condominiali viene respinta: perché?

Perché ne manca la prova.

Non possiamo sino in fondo comprendere che cosa la locatrice abbia prodotto in giudizio, in quanto, dalla narrativa della pronuncia, leggiamo che fu depositato un «documento, intestato a Banca popolare Commercio e Industria che riporta “RIPARTO RATE 01.07.2016 – 30.06.2017” » e null’altro ci aiuta a comprendere se si trattasse di un pagamento disposto dalla locatrice in vece della conduttrice o di altro.

Il Giudice, richiamando ancora una volta la giurisprudenza della Corte di Cassazione, afferma che non sia possibile procedere a liquidare gli oneri in quanto la locatrice avrebbe dovuto dare prova degli stessi allegando alla domanda le delibere assembleari di approvazione e di riparto delle spese.

Alcuni Tribunali, come quello di Roma, oltre a ciò, domandano anche la prova del pagamento, da parte del locatore, degli oneri condominiali inevasi dal conduttore, in difetto del quale non rilasciano al primo il decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo in sede di sfratto per morosità.

Del resto, solamente gli stati di riparto rendono liquido il generico debito del condòmino (e del suo conduttore) verso il Condominio, tramite la ripartizione, appunto, di una voce unitaria di spesa per i millesimi spettanti a quel condòmino.

La delibera assembleare sta invece a testimoniare che gli oneri sono stati approvati dal Condominio e non sono frutto della fantasia del locatore condòmino o di suoi strampalati calcoli.

I danni cagionati dal conduttore

Anche la richiesta di rimborso del danno patito dall’appartamento sottostante a quello locato viene respinta.

Dobbiamo dire che, dalla stringata narrativa della pronuncia, non riusciamo effettivamente a comprendere se la locatrice abbia chiesto il rimborso di una somma che le sia stata quantificata dall’appartamento sottostante e danneggiato per il ripristino dello stesso oppure se, come sembra più verosimile, leggendo la parte motiva, se la locatrice abbia chiesto la somma occorrente a ripristinare il proprio appartamento (allo scopo di far cessare le infiltrazioni).

Rammenta il Tribunale che il locatore che cita in giudizio il conduttore, chiedendo il risarcimento dei danni per spese di riparazione (si sottintende, riparazione dell’immobile locato, di qui il nostro dubbio) è onerato della prova dell’uso scorretto dell’immobile da parte del conduttore.

La nostra locatrice, cioè, avrebbe dovuto dare prova che le infiltrazioni a danno dell’appartamento sottostante erano state causate dall’uso scorretto che la conduttrice aveva fatto dell’immobile locato.

La semplice produzione di un preventivo a firma del tecnico incaricato dalla medesima locatrice non è idonea a dare prova di quanto sopra. Peraltro, va ribadito che la locatrice aveva affermato, nella propria domanda, che chiedeva le spese occorrenti per il ripristino che la stessa aveva preventivato, appunto e non già eseguito prima di agire in giudizio, ma, anche in questo caso, la medesima avrebbe dovuto dare prova del nesso di causalità tra le riparazioni occorrenti all’immobile e la condotta della conduttrice.


Fonte: Condominioweb

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