Ci deve essere perfetta corrispondenza tra i fatti indicati nell’istanza di avvio della procedura di mediazione c.d. obbligatoria e quelli riportati nell’atto con il quale si procede in sede giudiziaria in caso di fallimento della prima.
In caso contrario la domanda proposta dinanzi al Giudice e che non trovi riscontro nell’istanza di mediazione è da considerarsi nuova, con la conseguenza che, essendo la mediazione condizione di procedibilità del giudizio nelle materie indicate dall’art. 5 del D.Lgs. 28/2010, il processo non può proseguire.
Nel contenzioso condominiale, inoltre, visto lo stretto termine previsto dall’art. 1137 c.c., ciò comporta addirittura la decadenza dall’impugnazione delle deliberazioni assembleari.
L’istanza di mediazione, quindi, per lo meno nelle materie nelle quali la stessa è condizione di procedibilità, deve essere maneggiata con cura e non può essere ridotta a un mero adempimento burocratico.
Allo stesso tempo essa non è un atto giudiziario e quindi non necessita dell’esposizione delle ragioni in diritto.
Queste le riflessioni che sorgono leggendo la recente sentenza n. 259 pronunciata dal Tribunale di Roma lo scorso 11 gennaio 2022.
Il caso concreto.
Nel caso di specie, come emerge dal provvedimento del Giudice capitolino, l’istanza di mediazione si presentava del tutto generica, non conteneva alcun riferimento alle delibere impugnate e ai vizi alle stesse imputati.
La domanda giudiziale, al contrario, indicava espressamente che l’impugnativa era rivolta nei confronti di più deliberazioni assunte dall’assemblea ed esponeva, per ciascuna di esse, i vizi di legittimità denunciati.
Il Tribunale di Roma, con la sentenza in questione, ha ritenuto che mancasse la necessaria simmetria tra l’istanza di mediazione e la domanda giudiziale in concreto formulata.
Di conseguenza la mediazione non poteva ritenersi validamente svolta, né poteva considerarsi impedita la decadenza dall’impugnazione di cui all’art. 1137 c.c.
L’istanza di mediazione e i collegamenti con il processo.
In via generale, stante la natura informale della mediazione, nell’istanza di avvio la parte dovrebbe limitarsi a una sommaria indicazione della natura della controversia, per poi descrivere compiutamente le proprie ragioni in forma orale nel corso degli incontri con la controparte e il mediatore.
Le parti ben potrebbero completare o arricchire la descrizione del fatto e/o aggiungere nuove domande nel corso della procedura.
Non bisogna infatti dimenticare che nella mediazione, contrariamente a quanto accade in giudizio, non vi sono termini di decadenza.
Tuttavia con il D.Lgs. 28/2010 l’istituto della mediazione, per le materie indicate nell’art. 5, è stato utilizzato dal Legislatore delegato come strumento di deflazione del contenzioso civile ed è stato quindi collocato all’interno di una cornice normativa che ne disciplina in maniera specifica una serie di aspetti, in gran parte connessi all’eventuale e futuro giudizio.
Le cose si complicano ancora di più in materia condominiale, laddove bisogna anche fare i conti con il termine di decadenza dall’impugnazione di cui all’art. 1137 c.c. Ma andiamo con ordine.
Come è noto, l’art. 4 del D.Lgs. 28/2010 in materia di mediazione dispone infatti che “la domanda di mediazione relativa alle controversie di cui all’art. 2 è presentata mediante deposito di un’istanza presso un organismo nel luogo del Giudice territorialmente competente per la controversia“.
Il comma 2 della medesima disposizione specifica poi che “l’istanza deve indicare l’organismo, le parti, l’oggetto e le ragioni della pretesa“.
Il successivo art. 5 qualifica poi espressamente la mediazione come condizione di procedibilità in tutta una serie di controversie, tra cui quelle condominiali.
Ora, come evidenziato dal Tribunale di Roma, il contenuto dell’art. 4 D.Lgs. 28/2010 può considerarsi equivalente a quello dell’art. 125 c.p.c., in tema di atti processuali, fatta eccezione per il riferimento agli elementi di diritto. L’art. 4 pretende infatti la mera indicazione delle ragioni della pretesa, ossia, come riportato in sentenza, “l’allegazione di una situazione latamente ingiusta per la quale si prospetti una futura, possibile azione di merito“.
Non risulta invece necessario inquadrare giuridicamente il fatto, proprio perché l’istanza di mediazione non richiede anche l’indicazione degli elementi di diritto.
Quindi ribadiamo per l’ennesima volta che l’istanza di mediazione non è un atto giudiziario e non è quindi necessario che sia redatta come tale.
“Gli accadimenti narrati in fase di mediazione“, si legge nella predetta sentenza, “perché si possa verificare in giudizio l’esatto adempimento della condizione di procedibilità, devono essere corrispondenti, “simmetrici” a quelli che saranno poi esposti in fase processuale, per le materie obbligatorie” di cui al menzionato art. 5 D.Lgs. 28/2010. Una domanda processuale diversa, che esuli, anche solo in parte, da quella prospettata in sede di mediazione, deve essere quindi considerata una domanda nuova rispetto a quella passata per il filtro della mediazione e in grado di superare, almeno in astratto, il giudizio sulla procedibilità.
Il motivo di quanto sopra, come si accennava, è di ordine squisitamente processuale. “Una domanda di mediazione generica sotto il profilo del petitum o, come nel caso di specie, della causa petendi“, ha infatti osservato il Tribunale di Roma, “non può considerarsi validamente espletata e comporta l’improcedibilità della domanda“.
Si tratta di una conseguenza dell’utilizzo della mediazione come strumento di deflazione del contenzioso civile e rappresenta appunto la “sanzione” per chi non abbia fatto precedere il giudizio da un tentativo di mediazione, oppure non abbia elencato tutte le proprie domande nell’istanza di avvio del relativo procedimento, oppure ancora si sia espresso in termini eccessivamente generici.
Le conseguenze in tema di impugnazione delle deliberazioni assembleari.
Come pure si anticipava, le conseguenze di quanto sopra sono particolarmente dure nel contenzioso condominiale. Infatti, se è vero che in casi del genere è sempre possibile sanare l’improcedibilità, potendo il Giudice demandare alle parti di esperire una nuova mediazione sulle domande nuove, potendo pronunciare l’improcedibilità delle stesse solo in caso di mancato avvio della relativa procedura, è tuttavia indubitabile che nel caso di impugnazione di delibera condominiale sussiste un preciso termine di decadenza (i famosi trenta giorni di cui all’art. 1137 c.c.) che viene interrotto una sola volta dalla comunicazione dell’istanza di mediazione alla controparte e che inizia a decorrere nuovamente dal deposito del verbale conclusivo della mediazione.
In questo caso, qualora vi siano domande nuove o istanze di mediazione poco chiare, non è data una seconda possibilità e il Giudice non può che pronunciare l’improcedibilità, con la definitiva decadenza dal diritto di impugnare la deliberazione assembleare e la cristallizzazione degli effetti della medesima.
“L’effetto interruttivo“, si legge infatti nella sentenza del Tribunale di Roma, “può essere riconosciuto solo ad una procedura validamente espletata ed in relazione all’istanza comunicata che sia simmetrica alla futura domanda giudiziale, tenuto conto della natura deflattiva dell’istituto della mediazione, volto ad instaurare subito, già dinanzi al mediatore e prima del processo, un effettivo contraddittorio sulle questioni che saranno oggetto del futuro ed eventuale giudizio di merito.
Ed è sempre in virtù della fine della procedura che il legislatore ricollega, per una sola volta, alla mediazione l’interruzione delle decadenze.
Diversamente, consentire alla parte di avvalersi del beneficio dell’impedimento delle decadenze con la mera presentazione di una “istanza” che non presenti i requisiti sopra indicati, significherebbe svilire l’istituto della mediazione ad un mero adempimento burocratico, in contrasto con la ratio ad esso sotteso, ed incentivare il suo uso meramente dilatorio, a beneficio di una sola parte“.
Fonte: condominioweb