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Contratto preliminare e migliorie apportate all’immobile

Il promissario acquirente al quale sia stato consegnato l’immobile prima della stipula del contratto definitivo rimane un detentore del medesimo, per quanto qualificato, e non ne acquista il possesso. Di conseguenza quest’ultimo non può chiedere al venditore l’indennità per le eventuali migliorie apportate pro tempore al bene né ha il diritto di ritenerlo fino a che non sia stato soddisfatto il suo presunto credito.

Inoltre l’utilizzo dell’immobile non vale come possesso utile per l’usucapione, salva la dimostrazione di un’intervenuta interversione nei modi previsti dall’art. 1141 c.c. Questi gli utili chiarimenti contenuti nella recente sentenza n. 29924 pronunciata dalla terza sezione civile della Corte di Cassazione e pubblicata lo scorso 13 ottobre 2022.

I fatti di causa

La Corte di Appello di Campobasso aveva rigettato la domanda in via riconvenzionale spiegata dal soggetto che occupava un immobile che gli era stato consegnato sulla base di un contratto di locazione e, quindi, di un successivo contratto preliminare di compravendita, dichiarati entrambi nulli per difetto di forma.

Detta domanda era volta al pagamento di una somma di denaro a titolo di rimborso delle spese sostenute per delle riparazioni straordinarie resesi a suo dire necessarie per rendere abitabile l’immobile.

Il ricorrente in Cassazione si doleva del fatto che la corte di merito lo avesse qualificato come detentore qualificato, omettendo di considerare l’intervenuto mutamento del titolo, a suo dire attestato da una pluralità di condotte, quali la sostituzione della serratura di casa senza consegna di copia delle chiavi al proprietario, nonostante la sua richiesta, la mancanza di pagamento di pigioni o fitti, l’esecuzione di opere e, addirittura, il cambio di destinazione d’uso dell’immobile (che alla consegna era adibito a scuola e che era stato trasformato in appartamento.

La decisione della Suprema Corte

Con la decisione in rassegna la Cassazione ha chiarito che, qualora tra le parti della compravendita venga pattuita la consegna dell’immobile anteriormente alla stipula del contratto definitivo, non si verifica un’anticipazione degli effetti traslativi, in quanto la disponibilità del bene conseguita dal promissario acquirente si fonda sull’esistenza di un contratto di comodato funzionalmente collegato al preliminare, produttivo di effetti meramente obbligatori, con la conseguenza che la relazione con la cosa del promissario acquirente è qualificabile come detenzione qualificata e non già possesso utile ad usucapionem, salva la dimostrazione di un’intervenuta interversio possessionis nei modi previsti dall’art. 1141 c.c. (si vedano: Cass., Sez. Un., 27 marzo 2008, n. 7930; Cass., 16 marzo 2016, n. 5211).

Inoltre la Suprema Corte ha precisato che la previsione di cui all’art. 1150 c.c. – la quale attribuisce al possessore, all’atto della restituzione della cosa, il diritto al rimborso delle spese fatte per le riparazioni straordinarie e all’indennità per i miglioramenti arrecati – è di natura eccezionale e non può essere pertanto applicata in via analogica al detentore qualificato (si vedano: Cass., 28 novembre 2017, n. 28379; Cass., 30 giugno 2015, n. 13316), come è ad esempio il promissario acquirente del bene oggetto di un contratto preliminare di compravendita (si veda Cass., 22 luglio 2010, n. 17245).

A quest’ultimo quindi non spetta né il diritto all’indennità per i miglioramenti previsto dall’art. 1150 c.c. né quello di ritenzione previsto dall’art. 1152 c.c., che la legge attribuisce unicamente al possessore di buona fede e non anche al detentore, ancorché qualificato (si veda Cass., 22 marzo 2011, n. 6489).

Quanto agli elementi addotti dal ricorrente a conferma dell’intervenuta manifestazione esteriore del c.d. animus sibi habendi – ossia del fatto che lo stesso, con la propria condotta, avesse reso chiaro alla propria controparte la propria intenzione di possedere l’immobile come proprietario – i Giudici di legittimità hanno ritenuto che la relativa domanda fosse stata formulata in violazione del requisito previsto a pena di inammissibilità dall’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., che prevede la specifica indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fonda.

A questo proposito si evidenzia come di recente la medesima Suprema Corte abbia nuovamente ribadito che in un contratto a effetti obbligatori, la traditio del bene non configura la trasmissione del suo possesso, ma l’insorgenza di una mera detenzione, sebbene qualificata, salvo che intervenga una “interversio possessionis”, mediante la manifestazione esterna, diretta contro il proprietario/possessore, della volontà di esercizio del possesso “uti dominus”, atteso che il possesso costituisce una situazione di fatto, non trasmissibile, di per sé, con atto negoziale separatamente dal trasferimento del diritto corrispondente al suo esercizio, sicché non opera la presunzione del possesso utile “ad usucapionem”, previsto dall’art. 1141 c.c., quando la relazione con il bene derivi da un atto o da un fatto del proprietario non corrispondente al trasferimento del diritto (Cass. civ., 22 ottobre 2021, n. 29594).


Fonte: condominioweb

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