Anche un pettegolezzo può costituire reato: per la precisione, quello di diffamazione. Come si vedrà, commette diffamazione chi lede la reputazione di un’altra persona, in assenza di quest’ultima. In pratica, affinché si integri questo reato occorre che la vittima sia screditata agli occhi di terzi. Con questo articolo vedremo quali sono le principali sentenze in materia di diffamazione in condominio.
Come si vedrà, diffamare qualcuno è davvero facile e, a volte, non ci si fa neanche caso. Anche l’amministratore è esposto alla commissione di questo delitto: basti pensare alla condotta (purtroppo abbastanza comune) consistente nell’affiggere, in luoghi di passaggio, i nominativi dei proprietari morosi.
Di seguito analizzeremo questo reato e vedremo quali sono le principali sentenze in materia di diffamazione in condominio.
Quando c’è diffamazione?
La diffamazione consiste nell’offendere la reputazione di un’altra persona quando questa non sia presente (art. 595 c.p.).
L’offesa, quindi, dev’essere comunicata a terze persone, non al diretto interessato, il quale non deve essere presente fisicamente o, comunque, non deve essere in grado di percepire l’offesa.
Si pensi al gruppo di amici che, approfittando del fatto che uno di loro è impegnato col cellulare e non presta attenzione alla conversazione, cominci a spalare di lui. In questo caso vi sarebbe comunque diffamazione perché il soggetto la cui reputazione è lesa non è messo nelle condizioni di potersi difendere.
L’offesa diretta alla vittima configura l’illecito di ingiuria (art. 594 c.p., abrogato), che a partire dal 2016 non costituisce più reato.
Mentre con l’ingiuria si lede la considerazione che la persona offesa ha di se stessa, con la diffamazione si lede la reputazione che la vittima ha all’interno della società.
Diffamazione: com’è punita?
Il codice penale punisce il reato di diffamazione “semplice” con la reclusione fino a un anno oppure, in alternativa, con la multa fino a 1032 euro. Se, però, l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a 2.065 euro.
Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a 516 euro.
Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza o ad una autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate.
Gli ultimi casi prospettati possono essere definiti di diffamazione aggravata, in quanto ritenuti maggiormente deleteri rispetto alla diffamazione semplice, cioè quella punita con la reclusione massima di un anno.
Per quanto riguarda l’attribuzione di un fatto determinato, deve trattarsi di un episodio sufficientemente delineato, di modo che possa essere più credibile e, pertanto, possa arrecare un maggior danno al diffamato rispetto ad una diffamazione generica.
Diffamazione: cos’è la reputazione?
La diffamazione dicendo che essa consiste nell’offesa dell’altrui reputazione. Ma cos’è, di preciso, la reputazione?
Secondo i giudici, la reputazione non risiede in uno stato o un sentimento individuale, indipendente dal mondo esteriore, tantomeno nel semplice amor proprio: la reputazione, invece, è il senso della dignità personale nell’opinione degli altri, la stima diffusa nell’ambiente sociale, l’opinione che gli altri hanno del suo onore e decoro (Cass., sent. n. 3247 del 24.03.1995).
Secondo i giudici, attribuire falsamente una relazione sentimentale costituisce un’offesa alla reputazione e, quindi, una diffamazione (Cass., sent. n. 31912 del 27.08.2001). Anche l’attribuzione di difetti fisici (Cass., sent. del 19.01.1940) o di un’anomalia sessuale (impotenza) (Cass., sent. del 05.12.1955), sia essa o no sussistente, costituisce diffamazione.
Secondo la Corte di Cassazione, comporta una lesione della reputazione anche la notizia, non veritiera, che nei confronti di una persona imputata il pubblico ministero ha chiesto il rinvio a giudizio (Cass., sent. n. 11494 del 17.08.1990).
Peraltro, il reato di diffamazione non presuppone necessariamente la falsità della notizia: la verità o meno del fatto attribuito è irrilevante. Di conseguenza, dare del ladro a chi ha precedenti in tal senso costituisce comunque diffamazione.
Anche le espressioni dubitative possono integrare il delitto di diffamazione, specie nella forma dell’insinuazione: secondo la giurisprudenza, infatti, qualunque sia la forma grammaticale o sintattica della frase, ciò che conta è la sua capacità di ledere o mettere in pericolo l’altrui reputazione (Cass., sent. n. 1988 del 11.02.1976).
Diffamazione: elemento soggettivo
Va infine spesa qualche parola circa l’elemento soggettivo del delitto. La diffamazione è punita a titolo di dolo, essendo necessaria l’intenzione di usare espressioni offensive, con la consapevolezza di ledere l’altrui onore o reputazione.
In buona sostanza, per rispondere del reato di diffamazione è sufficiente essere consapevoli che le proprie espressioni siano idonee a poter offendere qualcuno, a prescindere dall’effettiva consapevolezza che tali offese colgano nel segno oppure no.
Se Tizio, in presenza di altre persone, lede l’onore di Caio, egli commetterà reato anche se Caio, venuto a conoscenza del fatto, non si ritenga offeso. È dunque la potenzialità diffamatoria ciò che rileva.
Secondo la Corte di Cassazione, inoltre, lo scopo o il motivo di scherzo non esclude il reato di diffamazione (Cass., sent. n. 2285 del 11.04.1972).
Oltre a ciò, l’autore del reato deve avere anche la consapevolezza che la sua condotta denigratoria venga a conoscenza di più persone. Pertanto, il reo deve comunicare almeno con due persone, o anche solo con una ma, in questo caso, con modalità tali che la diffamazione giunga a conoscenza di altri (Cass., sent. n. 36602 del 13.10.2010).
Questo significa che se, ad esempio, Tizio scrive delle frasi ingiuriose a proposito di Caio sul suo diario privato e il contenuto di questo viene, contro la sua volontà, divulgato a terzi, Tizio non potrà rispondere di diffamazione perché non era sua intenzione diffondere la affermazioni denigratorie.
Per analogia, potremmo dire la stessa cosa di colui che sul proprio profilo facebook scrive parole oltraggiose nei confronti di altra persona, ma queste frasi non possono essere visualizzate da alcuno perché l’account è invisibile agli altri. Finché l’offesa non giunge a terzi, non si potrà parlare di diffamazione.
La diffamazione dell’amministratore di condominio
A parere della Corte di Cassazione (ex multis, sent. n. 39986 del 26 settembre 2014, sent. n. 13540 del 31 marzo 2008), commette diffamazione colui che affigge la lista dei condòmini morosi al portone del condominio.
Secondo il giudice nomofilattico, la comunicazione contenente i nominativi dei condòmini morosi affissa al portone condominiale, anche in presenza di un’effettiva situazione debitoria degli stessi, costituisce una
Da tanto si evince che l’amministratore commette diffamazione se pubblica nella bacheca, in altro luogo accessibile al pubblico oppure sul sito internet del condominio, i nomi dei morosi senza che ve ne sia una valida giustificazione.
Nello stesso senso anche altra sentenza: commette il reato di diffamazione l’amministratore che affigge in un luogo accessibile – non già ai soli condòmini dell’edificio per i quali può sussistere un interesse giuridicamente apprezzabile alla conoscenza di tali fatti – ma ad un numero indeterminato di altri soggetti, il comunicato, redatto all’esito di un’assemblea condominiale, con il quale alcuni condòmini siano indicati come morosi nel pagamento delle quote e vengano conseguentemente esclusi dalla fruizione di alcuni servizi (Cass. pen., sez. V, 12/12/2012, n. 4364).
Diversa è la circostanza in cui l’amministratore, sollecitato dai creditori, comunichi a costoro i nominativi dei condòmini morosi. Ai sensi dell’art. 63 disp. att. c.c., infatti, l’amministratore è tenuto a comunicare, ai creditori non ancora soddisfatti che lo interpellino, i dati dei morosi.
Secondo altra sentenza (Corte di Cassazione, sentenza n. 21376 del 23 maggio 2016), non costituisce diffamazione essere accusati, con fondamento, di non pagare le spese condominiali davanti a tutta l’assemblea di condominio o mediante una lettera indirizzata a tutti i condòmini.
Secondo questo arresto, quindi, se la circostanza portata a conoscenza dell’assemblea è vera, non ci si può sentire in alcun modo diffamati; d’altro canto, i condòmini hanno il diritto di essere informati circa la gestione del bene comune, avendo diritto, altresì, a conoscere i nomi di coloro che non abbiano provveduto al pagamento delle spese condominiali.
La differenza con la pubblicazione dei nominativi dei morosi in bacheca o in altro luogo simile sta nel fatto che, mentre in assemblea è lecito comunicare notizie riguardanti il condominio, l’affissione o pubblicazione del nome dei morosi in luoghi accessibili a una platea indeterminata di persone (anche persone estranee al condominio) è condotta idonea a integrare la diffamazione.
In pratica, una notizia relativa alle vicende condominiali non può andare oltre il ristretto perimetro rappresentato dalla cerchia dei condòmini.
In pratica, secondo gli ermellini, la critica nei confronti di un condomino può estrinsecarsi legittimamente all’interno di un’assemblea condominiale o nei rapporti con l’amministratore.
Costituiscono invece diffamazione le affermazioni offensive rivolte nei confronti di terzi, tanto più se ospiti della persona offesa (Cass., sent. n. 46498 dell’11 novembre 2014).
La Corte di Cassazione (Cass. pen., sez. V, 04/06/2015, n. 44387) ha ritenuto colpevole di diffamazione l’amministratore per aver inviato una lettera a tutti i condòmini in cui riportava le frasi ingiuriose espresse, nel corso di un’assemblea, da un geometra contro due condòmini affermando che “non capivano niente ed erano malfattori, gentaglia e delinquenti”.
Non commette invece diffamazione l’amministratore che, nell’avviso di convocazione e poi in assemblea, informa i condòmini della procedura intentata (per loro conto) contro gli ex legali del condominio, ritenuti colpevoli di scorrettezze (Corte di Cassazione – V sez. pen. – sentenza n. 11916 del 10 aprile 2020).
In altre parole, non commette il delitto di diffamazione l’amministratore che comunichi, in modo oggettivo e senza commenti, le novità circa un giudizio pendente contro ex legali del caseggiato a cui è stato tolto il mandato per irregolarità.
A parere degli ermellini, infatti, l’amministratore non solo ha il diritto ma anche il dovere di informare i condòmini in relazione allo stato dei contenziosi instaurati nel loro interesse nei confronti di terzi.
Nello stesso senso altro arresto giurisprudenziale (sent. n. 22777/2021), il quale ha affrontato la valenza, più o meno dispregiativa, della comunicazione ad altri della qualità di debitore pignorato di una persona.
Secondo gli ermellini, se tale attribuzione non è corredata da altre affermazioni offensive e sussiste un dovere dell’amministratore condominiale di rendere nota tale condizione agli altri condòmini, allora non sussiste il delitto di diffamazione.
Per la precisione, la Cassazione rinviava al giudice di merito la causa perché, nel condannare l’amministratore condominiale (che aveva affisso negli spazi comuni un cartello che riferiva dell’avvenuto pignoramento contro uno dei condomini), aveva mancato di accertare l’intento diffamatorio, anche solo nella forma del dolo eventuale sufficiente comunque a far sorgere la responsabilità penale.
La diffamazione nei confronti dell’amministratore
Di converso, l’amministratore può essere bersaglio di commenti denigratori che sfociano nel reato. Secondo la Corte di Cassazione (sentenza n. 147/2021 – udienza del 12 novembre 2020), il condomino che accusa l’amministratore, esplicitamente o in maniera insinuante, di aver gestito le risorse condominiali nel proprio interesse o di non meglio precisati terzi, incorre nel reato di diffamazione, in quanto le accuse sono idonee a ledere la reputazione della vittima, soprattutto se pronunciate dinanzi all’assemblea riunita.
Addirittura c’è il rischio di incorrere nel più grave reato di calunnia, poiché le insinuazioni sulla mala gestio non sono altro che un’accusa velata di appropriazione indebita.
Nello stesso senso altra sentenza (Cassazione, sentenza n. 2627 del 22 gennaio 2018), secondo cui la diffusione, durante un’assemblea di condominio, di uno scritto nel quale si afferma che l’amministratore ha redatto un bilancio condominiale falso integra il reato di diffamazione.
A tenore di altra pronuncia (Cassazione, sentenza n. 1819/2016), commette il reato di diffamazione colui che, con una lettera rivolta all’amministratore e anche ai condomini, offende l’amministratore stesso dandogli del “mentecatto”.
Fonte: Condominioweb