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Vano tecnico nell’androne condominiale: quando serve l’unanimità

Ciascun partecipante alla comunione può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglioramento della cosa comune.

È questo il ben noto principio codicistico che regola l’uso della cosa comune e che consente al condòmino di utilizzare più intensamente la cosa comune al servizio della sua proprietà esclusiva nel rispetto di due limiti fondamentali: purché consenta il pari uso agli altri partecipanti e purchè non ne alteri la destinazione.

Nel corollario normativo, all’art. 1102 c.c. si aggiunge l’art. 1120 c.c., che soccorre agli ulteriori interrogativi in materia, permettendo ai condòmini con la maggioranza di cui all’art.1136, quinto comma, c.c. di disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento o all’uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni.

Come è noto nel concetto di “innovazioni” vi rientrano quelle modificazioni alle cose comuni che, determinando un’alterazione dell’entità materiale o il mutamento della destinazione originaria, comportano che le parti comuni, in seguito all’attività o alle opere eseguite, presentino una diversa consistenza materiale ovvero vengano ad essere utilizzate per fini diversi da quelli precedenti; tuttavia, con il limite del divieto delle innovazioni che rechino pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condòmino, comportandone una sensibile menomazione dell’utilità, secondo l’originaria costituzione della comunione. (cfr., ex multis, Corte d’Appello Catanzaro, sent. N. 176/2021). Fatta salva, in ogni caso, la diversa unanime volontà di tutti i partecipanti al condominio.

Per innovazione in senso tecnico- giuridico, dunque, deve intendersi non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa comune, ma solamente quella modificazione materiale che ne alteri l’entità sostanziale o ne muti la destinazione originaria.

Per contro, le modificazioni che mirano a potenziare o a rendere più comodo il godimento della cosa comune e ne lasciano immutate la consistenza e la destinazione, in modo da non turbare i concorrenti interessi dei condomini, non possono definirsi innovazioni (cfr. Corte d’Appello di Roma n. 1671 del 2021).

Diventa, pertanto, fondamentale stabilire di volta in volta se l’uso e o la modifica di talune parti comuni dell’edificio, in seguito all’attività o alle opere da eseguire, comportino il semplice miglioramento e rendimento delle cose comuni oppure un’innovazione vietata poiché determinante non solo un’alterazione della destinazione, ma anche la contemporanea impossibilità di utilizzo e di godimento anche di un solo condòmino secondo l’originaria destinazione della cose all’atto della costituzione del condominio.

La più intensa utilizzazione della cosa comune e la nozione di abuso

Compito non sempre facile, è pertanto, verificare se l’uso della cosa comune in maniera più comoda e più intensa per il singolo o per alcuni partecipanti alla comunione sia legittimo poiché rientrante nei parametri previsti dalla normativa oppure si risolva in un abuso, ai danni dei rimanenti condòmini.

La risposta ci viene fornita dalla giurisprudenza di legittimità e di merito chiamata di volta in volta a pronunciarsi sulle singole fattispecie che le vengono sottoposte.

Alcuni esempi: i giudici hanno ritenuto che la rimozione di una fioriera collocata nel corridoio condominiale, al fine di rendere più agevole l’accesso di un condòmino allo stabile, non possa essere qualificata come una innovazione vietata, posto che detto intervento non integra un’alterazione sostanziale della destinazione e della funzionalità delle cose comuni su cui incide, non la rende inservibile o scarsamente utilizzabile, né determina la privazione del loro godimento da parte di alcun condòmino ( Corte d’Appello Roma n. 1671/2021)

La delibera assembleare di destinazione a parcheggio di un’area di giardino condominiale, interessata solo in piccola parte da alberi di alto fusto e di ridotta estensione rispetto alla superficie complessiva, non dà luogo ad una innovazione vietata dall’art. 1120 c.c., non comportando alcuna significativa menomazione del godimento e dell’uso del bene comune (Cass. n. 24906 del 2016)

La condotta del condòmino, consistente nella stabile occupazione – mediante parcheggio per lunghi periodi di tempo della propria autovettura o motorino – di una porzione di cortile comune, configura un abuso perché impedisce agli altri condomini di partecipare all’utilizzo dello spazio comune, ostacolandone il libero e pacifico godimento, in tal modo alterando l’equilibrio tra le concorrenti e analoghe facoltà (Trib. Bari 29 ottobre 2009).

Nell’ipotesi in cui un condòmino utilizzi la canna fumaria dell’impianto centrale di riscaldamento per lo scarico dei fumi da una pizzeria, dopo che questo sia stato disattivato dal condominio, secondo la Corte, sussiste violazione dell’art. 1102 c.c., trattandosi non di uso frazionato della cosa comune, bensì della sua esclusiva appropriazione e definitiva sottrazione alla possibilità di godimento collettivo, nei termini funzionali praticati, per legittimare i quali è necessario il consenso negoziale (espresso in forma scritta ad substantiam) di tutti i condòmini (Cass. 6 novembre 2008, n. 26737).

In generale, per definire il concetto di “abuso” nel tema che ci occupa, si può far riferimento al principio elaborato dalla Corte di Cassazione, valevole in generale per ogni fattispecie.

Secondo la pronuncia della Cassazione n. 17208 del 24 giugno 2008, lo sfruttamento esclusivo del bene da parte del singolo che ne impedisca la simultanea fruizione degli altri non è riconducibile alla facoltà di ciascun condòmino di trarre dal bene comune la più intensa utilizzazione, ma ne integra un uso illegittimo in quanto il principio di solidarietà cui devono essere informati i rapporti condominiali richiede un costante equilibrio tra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione.

Tuttavia, in esecuzione di uno specifico accordo concluso tra tutti i titolari del diritto, l’utilizzazione della cosa comune o di una sua porzione da parte di uno o di alcuni dei partecipanti deve ritenersi legittima. ( cfr. Cass. 9 marzo 2006, n. 5085).

Una recente sentenza n. 2042 del 30 novembre 2021 emessa dalla Corte d’Appello di Bari è stata chiamata pronunciarsi su un altro caso che non è infrequente nella prassi condominiale: la realizzazione di un vano tecnico nell’androne condominiale, quando è da considerarsi innovazione vietata perché muta la destinazione originaria dell’androne stesso e ne impedisce la contestuale fruizione agli altri partecipanti al condominio, fatta salva l’unanimità dei consensi.

Vano tecnico: quando muta la destinazione dell’androne condominiale serve l’unanimità. La pronuncia della Corte d’Appello di Bari

La vicenda oggetto della decisione della Corte d’Appello di Bari trae origine dall’impugnazione delle delibere assembleari assunte dal Condominio relativamente alla realizzazione di un vano tecnico nell’androne condominiale in cui poter collocare sei impianti di autoclave ed altrettanti serbatoi al servizio di ciascuna unità immobiliare.

La Corte d’Appello, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, ha stabilito che l’opera che il condominio intendeva realizzare con le delibere impugnate costituisse innovazione e non un atto di maggiore e più intensa utilizzazione della cosa, atteso che, il vano tecnico in questione, avrebbe occupato un terzo della superficie dell’androne, restringendolo e riducendolo a poco più di un corridoio.

Sulla base del considerevole restringimento dell’androne condominiale che si sarebbe verificato se si fosse realizzato il vano tecnico, la Corte d’Appello giungeva alla conclusione di considerare tale opera quale innovazione vietata, salvo l’accordo unanime di tutti.

Invero, il vano tecnico in questione, che se realizzato avrebbe ridotto le dimensioni dell’androne, avrebbe determinato:

– un’alterazione della destinazione originaria data al bene comune all’atto della costituzione del condominio: la realizzazione del vano tecnico ridurrebbe l’androne a corridoio, con inevitabili conseguenze in termini di utilizzo, ad esempio in caso di trasporto di mobilio o di altri oggetti ingombranti o in occasione di particolari avvenimenti (matrimoni, funerali etc.), sicché la ridotta dimensione avrebbe effetti negativi sull’utilizzo dell’androne;

– la contemporanea impossibilità di utilizzo e di godimento degli altri partecipanti (anche di un solo condòmino): la ridotte dimensioni dell’androne a causa della presenza del vano tecnico sarebbero insufficienti a soddisfare le potenziali, analoghe esigenze dei rimanenti condòmini, anche solo in termini di agevole accesso alle singole unità immobiliari.

Nel caso di specie, dunque, il vano tecnico avrebbe immutato la destinazione di parte consistente dell’androne, la cui funzione tipica è quella di consentire un comodo accesso alle unità immobiliari ricomprese nel condominio nonché avrebbe impedito ai rimanenti condòmini il contestuale utilizzo e godimento del detto bene comune.

Conseguentemente, le delibere con le quali veniva pevista la realizzazione del vano tecnico, per poter essere valide, andavano approvate all’unanimità e non a maggioranza.

La Corte d’ Appello, pertanto, stante il dissenso di due dei sette condòmini, ha annullato le delibere assembleari ed accolto l’appello, ponendo a fondamento della propria decisione alcune pronunce della Cassazione, che di seguito si riportano.

I princìpi elaborati dalla Corte di Cassazione

“In tema di condominio, il rispetto del principio generale di cui all’art. 1102 cod. civ. e delle regole conseguentemente dettate dall’art. 1120 cod. civ. in materia di innovazioni, impone al giudice, nel caso in cui parti del bene comune siano di fatto destinate ad uso e comodità esclusiva di singoli condomini, un’indagine diretta all’accertamento della duplice condizione che il bene, nelle parti residue, sia sufficiente a soddisfare anche le potenziali, analoghe esigenze dei rimanenti partecipanti alla comunione, e che lo stesso, ove tutte le predette esigenze risultino soddisfatte, non perderebbe la sua normale ed originaria destinazione, per il cui mutamento è necessaria l’unanimità dei consensi dei partecipanti. (Cass. n. 13752/2006).

Il principio è stato successivamente ribadito dal Supremo Collegio che ha affermato: “Al singolo condomino è consentito servirsi in modo esclusivo di parti comuni dell’edificio soltanto alla duplice condizione che il bene, nelle parti residue, sia sufficiente a soddisfare anche le potenziali, analoghe esigenze dei rimanenti partecipanti alla comunione e che lo stesso, ove tutte le predette esigenze risultino soddisfatte, non perda la sua normale ed originaria destinazione, per il cui mutamento è necessaria l’unanimità dei consensi“(Cass. n. 1062/2011).

Ed ancora, “In tema di condominio negli edifici, il disposto dell’art. 1102 cod. civ., secondo cui ciascun comproprietario ha diritto di trarre dal bene comune un’utilità più intensa o anche semplicemente diversa da quella ricavata eventualmente in concreto dagli altri comproprietari, purché non ne venga alterata la destinazione o compromesso il diritto al pari uso, presuppone però che l’utilità, che il condomino intenda ricavare dall’uso della parte comune, non sia in contrasto con la specifica destinazione della medesima” (Cass. n. 12310/2011) Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso la liceità della collocazione, da parte di un condomino, di scivoli permanenti sopra un marciapiede per permettere l’accesso di autovetture al locale ad uso negozio di sua proprietà, dal medesimo utilizzato come box auto, così immutando la destinazione del marciapiede, avente per sua natura come funzione tipica quella di consentire il sicuro transito dei pedoni.


Fonte: condominioweb

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